Si è spenta il 13 ottobre Dolores Redaelli. L’ho conosciuta il 6 marzo 2012 a Roma, a cena col presidente Paolo Dal Bon e con Andrea Scanzi, il cui spettacolo al The Place chiudevo io, proprio quella sera, su suo invito.
Ricordo che a fine cena venne a trovarci al tavolo anche Paola Turci, che non toccò cibo, ma si fermò a chiacchierare.
Dolores era la storica colonna del “Piccolo” di Milano e soprattutto un punto di riferimento attivo e pulsante della Fondazione Gaber.
Questo genere di donne le ho sempre amate, per quel loro conservare, dentro, valori quasi “d’altri tempi”, tipo la forza, l’eleganza, l’onestà intellettuale, lo spessore umano, la gentilezza. E lo si capiva da piccoli gesti, da una frase buttata lì, da uno sguardo attento, dall’umiltà. O anche da quel non riconoscersi troppo in un mondo che, malinconicamente, era forse cambiato (in peggio) ai loro occhi, rispetto alla grandezza culturale di un periodo ben più ruggente e glorioso.
Dolores era davanti a me, a tavola. Qualcuno (non ricordo chi) le ricordò che ero io quello che aveva scritto il brano, amaro, “Cos’avrebbe detto Giorgio?“, e che lei a quanto pare conosceva. A quel punto mi guardò improvvisamente con un affetto che pareva quasi… pieno di gratitudine. Forse quell’amarezza, descritta nel brano, era anche la sua? Chi può dirlo. “Ah sei tu, allora“, mi disse con dolcezza. E iniziò a riempire di elogi sia me che la canzone. Ero commosso dall’intensità discreta con cui mi parlava. Mi ha trasmesso tanto, quella sera. E so quanto ha dato al teatro, al Piccolo e a Giorgio. Perciò la gratitudine, cara Dolly, sarà sempre la mia. Per te.